Intimismo, ironia e pungente critica generazionale. Cantautorato affilato e sferzate post punk. Canzoni graffianti e graffiate dall’urgenza espressiva e dall’intensità lacerante delle riflessioni fatte a 20 anni.
“DPCM” è l’album d’esordio di Visconti, in uscita il 18 marzo 2022 per Dischi Sotterranei.
Anticipato dai singoli “Ammorbidente” e “Le idi di marzo”, “DPCM” è il frutto poliedrico del lockdown di Valerio Visconti, che a vent’anni, come molti altri, si è ritrovato da un momento all’altro chiuso in casa per mesi. E ne è uscito con – e forse anche grazie a – un disco che lo candida tra gli artisti più promettenti in circolazione.
Un album nato quasi per gioco, partendo dalle registrazioni che Visconti effettua in autonomia a casa sua, in Piemonte, e che poi maturano nei giorni in studio con Giulio Ragno Favero, a cui viene affidata la produzione.
Il risultato è un disco urgente e sanguinolento che, scalciando nell’incertezza, cerca di raccontare le sensazioni di chi è troppo giovane per essere adulto e troppo grande per essere adolescente.
Sette tracce interamente scritte, composte e suonate da Visconti che, versatile e intraprendente, ha imparato a suonare tutti gli strumenti che gli servivano per portare a termine le registrazioni, sbattendo in faccia all’ascoltatore come l’inesattezza possa in alcuni casi diventare un valore aggiunto, una priorità e un sintomo di ciò che ci circonda.
Ecco dunque che la scrittura musicale si ritrova in continua ricerca di un equilibrio tra incursioni post-punk e contaminazioni cantautorali, dove IDLES e Franco Battiato convivono e coesistono dando forma a un sound inedito, sporco e melodico, rabbioso e poetico.
A livello testuale, Visconti in questo disco sceglie di cominciare a scrivere in italiano e cerca di trasportare nei nostri giorni temi decadenti come la morte, la corruzione morale e l’irrazionalità. Li prende, sventra e riscopre la loro attualità, il loro essere prodotti di un’età dei dati, dell’alienazione e del paradosso.
DPCM si muove in una provincia decaduta e post-apocalittica, come quella in cui si trova Acqui Terme, cittadina da cui proviene il cantautore, dove il passaggio di personaggi come Aleister Crowley e Napoleone e i fasti della ripresa economica del Dopoguerra aleggiano come fantasmi tra gli impianti termali ormai abbandonati e le ville liberty invase dalla vegetazione.
Uno di quei tanti luoghi dove l’ermetismo delle taverne e dei rifugi spirituali di un tempo oggi ha lasciato posto a un asettico panorama di tumulti padre-figlio, pomeriggi borghesi e vacanze annullate: un mondo in cui l’estetica è il palliativo perfetto per la mancanza di sostanza, e la caduta delle certezze è dietro l’angolo.
Il disco si apre con “La morte a Venezia” che gioca con le liriche à la Battiato: partendo dall’omonimo libro di Thomas Mann, raccoglie in modo ironico e provocatorio un flusso di pensieri il cui filo conduttore si rivela solo a canzone chiusa: quanto spesso ci appropriamo di soggetti culturali per descrivere noi stessi agli altri? “Narcisi Sbagliati” invece parla di amore verso gli altri analizzando il rapporto a volte tossico che si ha con sé stessi. Una ballad sporca e intensa che esorcizza l’autocommiserazione su una pista da ballo, sostituendo l’aggressività con la sensibilità.
“Le idi di marzo” attinge alle più evanescenti reminiscenze di un’Italia musicale ormai storica e canta di come tutto dovrebbe essere solo un gioco, dalla morte all’amore. Un brano per scongiurare il presente, che inscatola la dissoluzione delle certezze in un’estetica sonora nobile, disillusa e poetica come la congiura a Giulio Cesare. Avvolta da un sound arrabbiato, mimetico e monocorde, che attinge da un ampio bacino di ascolti post-punk sia internazionali che italiani, “Ammorbidente” nasce dalla grande disillusione del lockdown e incamera tutte le suggestioni di incertezza e rabbia ad esso collegate, condensandosi in un’urgenza nuova e inaspettata, in una ricerca di un decadentismo autentico nei nostri giorni. “Poeti” è il primo pezzo che scritto in italiano da Visconti: nato con chitarra, voce e un capotasto mobile applicato per pura insicurezza, parla genuinamente, riprendendo immagini impattanti, della prima chiusura nazionale. La title track “DPCM” invece nasce in quarto d’ora, dallo sfinimento e dalla rabbia, e dà un tempo e un luogo alle canzoni dell’album. Infine, “Nulla mi urterebbe più”: un brano intimo e profondamente sentito, catartico e psicanalizzante, che parla senza archetipi o filtri del rapporto figlio-padre.
Visconti nasce nel 2000 ad Acqui Terme, in Piemonte. A 20 anni scrive il suo primo album, DPCM, figlio della pandemia e della complessità della Generazione Z, che è stato anticipato dai singoli Ammorbidente e Le Idi di Marzo. Dopo un background di progetti musicali prevalentemente in inglese, nati ed esauritisi durante gli anni del liceo, Visconti sceglie di esordire con un disco in italiano.Nei suoi brani l’urgenza del post-punk trova un’insolita miscela con la forma cantautorale: i suoi testi cercano di riscoprire la metropoli nella provincia e la normalità del disagio. Visconti si muove tra due poli che in quanto opposti si attraggono e convergono nella sua musica: l’intimismo poetico e la sferzante critica generazionale.