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Schiamazzi” è l’EP omonimo del cantautore genovese. 5 canzoni che si presentano come una piccola antologia di racconti, 5 storie che si snodano nella stessa città, tra il porto e i vicoli, senza che i protagonisti si conoscano o si incontrino mai. 5 tracce che nascono dal bisogno di ridimensionare le cose. Il desiderio di trovare spazi diversi e cassetti vuoti, smorzare alcuni malesseri e amplificare quello che vorrebbe passa in sordina. Canzoni scritte anche durante le guardie di notte in ospedale, tra una visita e l’altra, su foglietti di carta e sulle note del cellulare. Immagini apparentemente scollegate tra loro, ma unite dall’obiettivo di distruggere un pre-concetto, che sia il bisogno di sentirsi speciali, di farcela a tutti i costi o la necessità di dire “per sempre”. Da questa di distruzione si sente il bisogno di ricostruire qualcosa di diverso, una nuova consapevolezza.

Schiamazzi è un cantautore genovese ma anche un medico psichiatra e, forse, è questo che lo ha spinto a fare musica.
Tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 pubblica due delle canzoni scritte nel corso dei primi anni di lavoro in ospedale, seguite dal videoclip del singolo “Félicette”.
Nelle sue canzoni le sonorità acustiche e i testi prettamente cantautorali si contaminano a seconda delle collaborazioni che gravitano attorno allo studio Homeward Laboratories, prima tra tutte quella con la cantate lirica Francesca Benitez. La chitarra classica portante spesso si accompagna alle percussioni e ad una sezione fiati malinconica. Nei suoi pezzi parla delle persone che incontra e delle storie che gli vengono raccontate, ma anche di sé, della sua famiglia e delle persone che ama, in un continuum che si mescola e si confonde. Il tutto protetto da una maschera, con tanto di piume annesse. Infondo sono solo schiamazzi.
La scelta dell’anonimato e la maschera che indossa separano il medico dal cantautore ma soprattutto lo traghettano tra le sue identità, uno switch che gli permette di avere maggiore libertà espressiva e dare spazio a tutte le parti di sé, eliminando i limiti imposti e aprendo nuove prospettive. I versi delle canzoni si inseguono come fotografie che non hanno bisogno di verbi. La luce è quella artificiale dei lampioni, quella delle lampade che oscillano sospese sui vicoli di Genova. Le facce non sono perfette, i lineamenti a volte fanno paura. Il suo modo di trattare il disagio psichico è lontano dai freak shows e dalla spettacolarizzazione che spesso l’arte riserva a questo tema, è asciutto e realistico, presentandolo come qualcosa di incredibilmente quotidiano e comune.
Nelle storie di Schiamazzi i riferimenti temporali si perdono, come in quei sogni che non sapresti dire se siano durati 5 minuti o tutta la notte.

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