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Elisa Ridolfi ha alle spalle una lunga attività di promozione del fado, iniziata quando, poco più che ventenne, Marco Poeta la volle come voce femminile in un ensemble votato a diffondere in Italia quel repertorio. La compagnia era eccellente: le voci maschili, per dire, erano Eugenio Finardi e Francesco Di Giacomo. Seguirono anni ricchi di esperienze e di incontri che non suscitarono timori eccessivi in quella giovanissima cantante che, con grande disinvoltura, dispensava la magia della sua voce assieme a interpreti come Jorge Fernando, Argentina Santos,  Riccardi Ribeiro, Ana Sofia Varela, Ana Muora, o anche altri grandi artisti italiani, tra i quali Andrea Parodi, Peppe Servillo e Lucio Dalla, con il quale duetta prima al Sao Luis di Lisbona e poi allo Strehler di Milano. Circostanze e casi della vita la spingono poi a riposizionarsi nel mondo della musica dove mantiene comunque collaborazioni di grande prestigio, come quella con il collettivo internazionale Del Barrio e, soprattutto, con la Compagnia di Musicultura, con la quale realizza ben sette delle dodici produzioni originali promosse da Piero Cesanelli con centinaia di repliche in giro per l’Italia: e come lavoro pressoché quotidiano, meno appariscente ma non per questo meno appassionante, la dedizione al canto come mezzo di formazione per donne e bambini.
A ben vedere, è questo un lungo periodo di gestazione in cui, con passo insolitamente lento, senza alcuna smania, Elisa muove verso questo nuovo disco, “Curami l’anima“, che, pubblicato da Squilibri, ad oltre vent’anni dalla sua entrata in scena sotto le bandiere del fado, segna anche il suo esordio come cantautrice: un esordio di “scintillante bellezza, fosforo e fantasia” nel quale un carico pesante di vita e poesia si scioglie magnificamente in una voce di grande fascino e personalità, giunta al culmine delle proprie capacità come timbrica, estensione e varietà di modulazioni. Qualcosa di lieve e pesante allo stesso tempo, etereo e terrestre si leva da questi brani, in un flusso di coscienza che ogni volta muta tragitto per ritornare immancabilmente su se stesso, senza mai assumere le cadenze tristi di un ripiegamento: qualcosa che si definisce soltanto nel linguaggio evocativo della musica ma che il duplice rimando a Virginia Woolf può aiutare a nominare. 
“Curami l’anima”, pertanto, non è un titolo a caso né, tanto meno, a sproposito: c’è davvero qualcosa che risuona come benefico, lenitivo di pene e tormenti, una sorta di unguento sonoro che la protagonista deve aver sperimentato su di sé prima di farne dono agli altri, provando sulla sua stessa pelle come la musica possa consolare l’animo degli uomini disperdendo il brusìo delle loro vane parole. Non a caso, in uno dei testi introduttivi, Jorge Fernando, tra i musicisti più autorevoli del fado portoghese, scrive che la voce di Elisa “è come acqua che scorre e bagna i cuori, anche quelli di pietra”. Un effetto che, per Ezio Nannipieri, si ottiene solo quando si canta “non quello che si sa ma quello che si è”, immettendo in ogni brano vita e coraggio, sangue e respiro, lacrime e risate:  scintillanti frammenti di esistenza personali che, levigati e modellati dall’arte, diventano espressione di moti e stati d’animo universali.
Con la direzione artistica di Tony Canto, un ensemble di grandi musicisti, e la partecipazione straordinaria di Eugenio Finardi e Jaques Morelenbaum, un esordio di rara forza espressiva.
Un progetto realizzato con il contributo di NuovoImaie
Curami l’anima“: un augurio, una richiesta, forse anche l’indicazione di un cammino personale: che la musica continui ad agire nella vita di ognuno
Dorme un poeta“: un pensiero per chi ha salutato questa vita per l’impossibilità di sostenerne il peso: resta tutta la sua arte ma anche, accresciuto, il desiderio di saperlo ancora vivo
Erika e la luna“: il brano forse più personale di tutto l’album per ragioni che rimarranno segrete: Erika vive dentro i sogni ma sa che è dentro la vita che deve portare i suoi sogni
Fili di fado“: una sorta di manifesto del disco, il primo brano ad essere scritto, con l’espressione di un sentimento lieve che si libra nell’aria: ma è su quei fili che si regge e cammina la vita di tutti 
Il tempo passa“: una canzone sull’assenza e irrilevanza dell’uomo, ispirata al secondo capitolo di “Gita al faro”, ma anche sulla serenità dell’accettarsi come transito e passaggio 
La febbre del mondo“: una vita che si abbandona alle sue passioni, malgrado l’altalena di sentimenti contrastanti, nella sublimazione di un canto interrotto solo dalla fisicità di un gesto, il rumore dei passi 
Q. Pensando a “Gita al faro” di Virginia Woolf“: un brano concettuale, costruito attorno alla successione delle lettere dell’alfabeto che si profilano forse come un muro di fronte all’ascoltatore: ma è il muro del Sig. Ramsey
Tutte le lingue del mondo“: troppe storie custodisce il mare, storie dolorose che dovrebbero essere narrate come in un vecchio fado, in modo da far vibrare d’indignazione porti e città
Ho un addio“: un altro rimando, per musiche e immagini, al fado, un mondo che ho abitato per anni e per il quale è forse inevitabile un addio che non vuole andar via
Plurifollie“: in tutto il disco si parla di arte, Plurifollie non ne parla, l’indossa, l’assume come veste, la porta con sé di passaggio in passaggio, oltre le colonne d’Ercole della forma canzone.

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