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Città caotiche, muri di cemento, smog, stress e lavoro. Sono tutti elementi che caratterizzano, o meglio, caratterizzavano la nostra civiltà.

L’emergenza sanitaria di questi mesi ha portato dolore e sofferenza, ma ci ha permesso di capire e di ricordare quali sono i valori importanti nelle nostre vite, di cosa abbiamo realmente bisogno, di quanto non ha senso una vita passata schiacciati e soffocati dagli impegni.

Una riflessione importante che detto Ferrante Anguissola, tornando alla sua grande passione per la musica all’età di 88 anni, si impegna a portare nella sua nuova ballata, “Il Grande Prato Verde”. Ferrante, con la sua esperienza, ha notato come il virus abbia lasciato trasparire i vantaggi di una vita meno pressata. Un discorso che è tanto più valido nella realtà delle grandi città.

Dalla sua finestra, Ferrante vede un grande prato verde, verde come la speranza di un cambiamento. Un rinnovamento è possibile e basta poco per raggiungerlo tutti insieme, per non dover correre più per prendere un tram, per non doversi sentire in colpa se si ci si riposa un attimo e si riprende fiato in una società che massacra chi si ferma.

Chi oggi ascolta una canzone come questa, con un simile messaggio, può comprenderne il vero valore, perché ora più che mai si deve ritornare alle radici: bisogna andare avanti ricordandoci chi eravamo e chi vorremo essere.

«A diciassette anni scrivevo canzoni e inventavo storie» racconta oggi ripensando alla sua infanzia fra Piacenza e Cremona. Un nonno concertista, una madre pianista gli hanno lasciato nelle dita i doni della musica.

La sua avventura “on the road” lo ha portato sulle strade d’Europa nel secondo dopoguerra. Dalla Germania distrutta all’Olanda remota, dalla Londra bombardata agli ostelli della gioventù e alle golette di Stoccolma, l’irrinunciabile colonna sonora dei suoi spostamenti mixava brani di Charles Trenet e Jacques Brel con canzoni della tradizione classica napoletana. Vestito di blu, nei ristoranti di South Kensington, accompagnava alla chitarra i suoi primi testi abbinati a melodie semplici e orecchiabili, parole e versi, adattamento inedito e personale del teatro canzone. Rime, assonanze, metafore hanno cominciato allora a intrecciarsi con la musica, coi tempi dei sonetti e delle ballate. La canzone d’autore incontrava l’eco dei trovatori provenzali. 

L’uso attento dei termini, l’affondo su temi amari edulcorati dalla poesia, hanno poi distinto l’album degli esordi “Poligrafici Pensionati Trombai e Santi”, affresco di un’umanità eccentrica e fragile, uscito alla fine degli anni Settanta con lo pseudonimo di Asterix e ispirato alla lezione epocale di Bob Dylan, Joan Baez o Fabrizio de André. 

A distanza di anni dal primo disco, e dopo l’uscita nel 2018 di “Anima e Vento”, Ferrante torna, con un nuovo album “A Occhi Aperti”, a riflettere sul valore della parola scritta per la musica e della musica scritta per la parola. 

Raccogliendo le fila di una vita, non ha smesso di cercare e di viaggiare. Ferrante Anguissola torna al microfono da eroe maturo, sempre elegante ma combattivo, pronto ad affrontare nostalgie e rimpianti, ma con la stessa immutata energia dei “suoi” anni Settanta, inevitabile dovere di un maestro della sua età: conciliare l’eterna voglia di libertà con la coscienza profonda di un uomo che ha vissuto.

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