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Dopo “Après la nuit” e “The roots of unity”, Rino Arbore, chitarrista e compositore pugliese, molto attivo in varie formazioni sin dalla fine degli anni 70, torna a collaborare con l’etichetta leccese Dodicilune. Distribuito in Italia e all’estero da IRD e nei migliori store online da Believe Digital, martedì 4 maggio esce infatti “Temporary life?“. In questo nuovo progetto discografico Rino Arbore propone dieci composizioni originali nelle quali è affiancato da Giorgio DistanteMike RubiniGiorgio Vendola Pippo D’Ambrosio.

«Dopo aver esplorato le dimensioni del rito e del dolore con l’album “The Roots of Unity”, in questo disco “temporary life?” Rino Arbore affronta una serie di questioni etiche spinose: la capacità di resistere al male, l’indifferenza o l’empatia al dolore altrui, il valore della vita», sottolinea il giornalista e critico musicale Fabrizio Versienti nelle note di copertina. «Punto di partenza sono tre foto segnaletiche di una ragazzina polacca internata ad Auschwitz: Czeslawa Koka, morta nel 1943, a 14 anni, dopo solo tre mesi di prigionia, ammazzata forse con un’iniezione di fenolo. Il fotografo del campo, Wilhelm Brasse, la ritrae nelle tre pose nelle quali i nazisti “identificavano” i loro prigionieri: un frontale e i due profili. Nei suoi scatti c’è una ragazzina terrorizzata, con la testa mal rasata e una ferita sul labbro: lo stesso Brasse ha raccontato che quella ragazza, che non capiva una parola di tedesco e quindi si trovava scaraventata insieme a sua madre in un orrore per lei incomprensibile, era stata appena colpita con una bastonata da un kapò. E nelle foto appare irrigidita dallo stupore e dalla paura. A Czeslawa Koka, e a Brasse, è dedicato l’album “temporary life?”, e infatti i titoli dei brani sembrano suggerire una qualche forma di narrazione legata alle loro vicende», continua Versienti. «La musica, potente e tesa, è affidata a un quintetto dalla geometria jazzistica classica, ma solo sulla carta; qui non ascolterete temi all’unisono e lunghi soli accompagnati dalla ritmica. La struttura della musica è più libera e più complessa, segue un’estetica cameristica che continuamente scompone il gruppo in unità più piccole, fino a vere e proprie cadenze affidate ai singoli musicisti. A situazioni più compatte all’insegna del free-bop, come in “Czeslawa Cries”, “The Train at Dawn” o “Dance of Pigs”, si alternano episodi più articolati come “Temporary” o la conclusiva “Corpi inutili”. Non manca la melodia, allusiva e straniante, una tipica ballad obliqua di cui Arbore sembra conoscere il segreto», prosegue il giornalista. «Tutti i musicisti impegnati suonano in modo splendido: le linee zigzaganti di Rubini, il pathos lirico di Distante, la calda presenza di Vendola e il contributo sempre drammaticamente pertinente di D’Ambrosio, oltre alla chitarra di Arbore che dà il tono e il colore alla musica, contribuiscono a caratterizzare un lavoro la cui bellezza e la cui bruciante intensità ci accompagneranno a lungo».

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